L’opera nasce da una frase presa dal Vangelo di Luca, le cui parole, alternativamente cancellate e accostate ad immagini diverse, aprono a16 differenti significati. L’ordine simbolico del testo, escludente e misogino, così disarticolato lascia affiorare l’imprevedibile ricchezza del possibile. |
"PERCHÉ MI AVETE CERCATO? NON SAPEVATE VOI CHE IO DEBBO ESSERE IN QUELLO CHE È DI MIO PADRE?" LUCA 2,49
La valenza metaforica dell'immagine fotografica e l'azione di progressiva cancellazione- modificazione di un testo consentono a Libera Mazzoleni di rivisitare il versetto 2,49 del Vangelo di Luca, liberandolo dalla fissità del suo univoco rinvio al dominio del Padre nell'esistenza del Figlio.
Cancellare è un modo di evidenziare altre possibilità di lettura che aprono a diversi e nuovi significati; ciò che scompare, infatti, accentua ciò che rimane e ciò, che di volta in volta sopravvive, si impone come traccia di percorsi problematici all'interno di quello che voleva essere il tema centrale della domanda iniziale: la relazione, di matrice patriarcale, esclusiva ed escludente, tra Padre e figlio.
Seguendo il gioco tra le parole precipitate nell'oscurità e le parole lasciate in luce nelle diverse tappe di un'operazione artistica che si configura come work in progress dai molteplici sviluppi, emerge una narrazione frammentata, imprevedibile e spaesante che rovescia l'ordine del discorso e vanifica la norma che lo presiede.
Dalla certezza iniziale, che si declina come dichiarazione di appartenenza a colui da cui si proviene, si passa all'incertezza identitaria, al dubbio sul senso di un rapporto che, lasciando spazio solo all'obbedienza, impedisce al figlio di nascere alla singolarità del proprio esserci.
Si affaccia, allora, la ricerca di un "proprio", di una soggettività che, per esistere come tale, ha bisogno di richiamare la madre negata, di evocare "l'altra taciuta", la donna, che, nel momento del suo riconoscimento come portatrice di una differenza, rompe la sterile e paranoica logica del Medesimo, instaurando la dualità e minando così, alla radice, il potere soffocante e mortale dell'Uno.
Le parole scritte e progressivamente cancellate si impongono su immagini che portano in scena la terra coperta di sassi e di fiori, una rete sospesa nel vuoto con alcune maglie rotte che aprono un passaggio, corpi di uomini e di donne vicini e vicine nel contatto fisico, nell'abbraccio tenero, nello sguardo che cerca nel volto dell'altro e dell'altra la conferma del proprio esistere, scarpe femminili come metafora del rifiuto di un maschile incattivito e impoverito dalla misoginia del patriarcato.
Rivisitare le parole, cancellarle e collocarle in nuovi orizzonti di senso risuona allora come un'azione liberatoria, un fare poetico che smaschera l'univocità della logica con la sua ferrea, soffocante razionalità e lascia intravvedere l'infinita ricchezza dell'immaginazione.
Graziella Longoni |
“Il testo determina insieme la Legge e il suo portatore, istaurandosi a partire da un’esclusione. Il testo biblico è la storia, proiettata nel mito, della comunità simbolica e del suo statuto: il discorso del Padre e del Figlio, soggetto della legge non può non corrispondere all’esclusione della donna dall’apprensione dei suoi dettami. [...] La realtà dei soggetti assoggettati alla legge sarà dunque sempre una realtà di due di cui l’uno esclude l’altra ponendosi esso stesso come un(ic)o, tacendo la diversità con l’atto stesso di attribuirvi un nome: avere un nome è la premessa necessaria per l’ingresso nell’ordine simbolico. Alla logica dell’unico la donna oppone, come si sa, l’almeno due dello svelamento dei significati del testo, significati di oppressione, ricercando i segni della propria scomparsa nelle nominazioni dispotiche il testo racchiude la paranoia del potere rappresentandola come legge; l’almeno due si confronta con essa svelandola come segno e risultante di una rimozione.” Giorgio Verzotti |